Perché il grano è diventato un problema?
Il numero di persone che riferiscono fastidi in seguito all’assunzione di prodotti a base di grano, o che riferiscono giovamenti in seguito alla sospensione dell’assunzione di questi ultimi, è in costante aumento.
Ma perché di punto in bianco siamo diventati tutti intolleranti al frumento? Perché una volta i nostri nonni mangiavano pane tutti i giorni e non avevano i nostri stessi problemi intestinali (e non solo)?
Dobbiamo innanzitutto considerare l’eccessivo consumo di frumento tipico delle nostre abitudini alimentari; i dati INRAN infatti stimano che questo cereale costituisca il 90% dell’apporto di carboidrati della nostra dieta.
Il nostro sistema immunitario si sensibilizza contro gli alimenti che vengono mangiati troppo spesso e di qui l’aumento di reazioni avverse contro questo cereale.
Altro fattore da tenere in considerazione è la qualità dei prodotti utilizzati per la panificazione e la pastificazione; a partire dal 1974 infatti il grano che viene utilizzato in questi processi è rinforzato in glutine. I prodotti così ottenuti risultano molto più difficili da digerire e da processare nel nostro stomaco e nel nostro intestino; vengono pertanto trasferiti nel sangue in forma non idonea e ciò causa un’attivazione continua del sistema immunitario che alla lunga ne causa un malfunzionamento. Di qui la comparsa di numerose patologie autoimmuni come celiachia, lupus, psoriasi, dermatiti e tiroidite. L’eccesso di glutine inoltre causa una massiva produzione di muco, alla base di allergie, otiti e sinusiti, e uno stato infiammatorio costante.
Le farine utilizzate sono poi oltre misura raffinate; con la rimozione della crusca e del germe dal chicco vengono così perse sostanze importantissime per il nostro organismo come ad esempio vitamine, ferro, magnesio ed acidi grassi polinsaturi.
Infine, per quanto riguarda la produzione di pane, un fattore determinante è l’utilizzo del lievito di birra al posto del lievito madre. Quest’ultimo infatti è un impasto di farina e acqua acidificato da lieviti e batteri lattici che rende il pane un vero e proprio probiotico naturale. La fermentazione indotta da questi batteri è molto lenta, a differenza del lievito di birra, permette una maggiore crescita del prodotto ma anche un maggior grado di digeribilità e conservabilità.
Per poter permettere però al lievito madre di esplicare al meglio le sue funzioni benefiche sono necessarie due cose: un’adeguata cottura e un’adeguata preparazione della forma del pane. Quest’ultima deve avere delle grandi dimensioni, 1 kg o ancora meglio 2, in modo tale che durante la cottura, con la quale vengono raggiunte elevate temperatura, i batteri nella parte centrale, in cui le temperature non superano i 60-70°C, possano sopravvivere. Una volta sformato, il pane dovrebbe poi essere lasciato a riposare dalle 12 alle 24 ore in modo tale che i batteri sopravvissuti possano moltiplicarsi e rendere così il pane un concentrato di batteri buoni.
Nulla di più diverso quindi dai panino di 50 g lasciati lievitare un’ora a cui siamo abituati.
Ma una volta che siamo venuti a conoscenza di tutte queste informazioni, cosa possiamo fare? La soluzione non è di certo quella di acquistare prodotti confezionati senza glutine.
Innazitutto, ci sono in commercio dei tipi di pasta fatti con grani antichi; il prezzo è leggermente superiore rispetto alla pasta che siamo abituati a comprare, ma io direi che ne vale ampiamente la pena.
Per quanto riguarda il pane ci sono, anche se sono pochi, dei forni che vendono ancora il pane a lievitazione naturale. Inoltre, nella maggior parte dei panifici è possibile trovare pane di segale, di farro, o di grano saraceno; sostituire il pane bianco con queste tipologie sarebbe già un grande passo.
Dovremmo infine considerare che il pane non deve per forza essere presente ad ogni pasto; potremmo accompagnare le nostre pietanze con una porzione di riso integrale, di cus cus, di quinoa; la natura ci offre una varietà di cereali, con e (naturalmente) senza glutine, di cui è un vero peccato non approfittare.
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